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DesAI. Big data e processo creativo

01 aprile 2021 — 4 minuti di lettura

DesAI è un progetto finanziato dal Dipartimento di Design del Politecnico di Milano con fondi dedicati alla ricerca di base.
Il progetto indaga uno degli ambiti di frontiera della ricerca di design, ovvero il cambiamento nelle logiche di utilizzo di diverse tipologie dei dati disponibili e utilizzabili nei processi creativi legati all’innovazione.

Lo studio del processo di design e dei meccanismi che i designer applicano per sviluppare progetti e trovare soluzioni creative a problemi complessi è una delle aree più consolidate nella ricerca di design e allo stesso tempo è anche una delle aree più in evoluzione, a causa delle spinte di cambiamento determinate dalla crescente disponibilità di dati raccolti tramite canali digitali poi usati per predire ed indirizzare il comportamento e le scelte delle persone.

Il periodo di pandemia ancora in atto ce l’ha dimostrato: essere in grado di tenersi informati, leggere ed interpretare nella maniera corretta (ma anche raccogliere nel modo giusto) i dati può fare la differenza. Il buon uso dei dati ha permesso di salvare molte vite, mentre laddove questo non è successo abbiamo assistito a situazioni di più marcata emergenza.

Questo racconta come il ruolo dei dati nella società contemporanea sia diventato uno dei temi più centrali e dibattuti, dalle questioni economiche ed etiche che ne regolano la raccolta, lo sfruttamento e la monetizzazione, ai modelli alternativi di capitalismo che si stanno generando a causa della loro centralità per aziende ed istituzioni.

Tale tema oggi è reso ancora più rilevante dallo sviluppo di alcune tecnologie centrate proprio sullo sfruttamento di dati: in primis l’Intelligenza Artificiale che, lavorando con grandi moli di dati, ci fa immaginare futuri inediti.

Attualmente, esiste un ampio dibattito circa le implicazioni di questo scenario che ha già portato molte istituzioni internazionali a farne uno dei temi di ricerca di frontiera. La Commissione Europea ad esempio sta finanziando ricerche innovative sia circa lo sviluppo di nuovi software e applicazioni, sia relativamente alle implicazioni etiche e pragmatiche per la società.

Riflettere sulla forma, la natura ed il valore dei dati che usiamo e come li usiamo è dunque centrale anche per i designer, tanto nella ricerca quanto nella pratica, per generare nuova conoscenza sulla relazione tra attività analitico-esplorative e potenziale creativo.

Il design fino ad ora si è preoccupato poco di quali dati ha utilizzato perché ha soprattutto puntato sulla sua capacità di empatizzare con le persone e di essere inclusivo. Il design è infatti una disciplina inclusiva in grado di mettere le persone al centro dei processi di innovazione in grado di catturare desideri e bisogni, anche attraverso un accurato studio sul campo.

Durante questo processo, il designer raccoglie dati sia studiando i fenomeni in atto, i contesti e le tendenze, che usando metodi di osservazione diretta.

Questo modo di studiare e comprendere un problema progettuale porta i designer a raccogliere almeno 15 tipi diversi di dati qualitativi che spaziano dalle osservazioni fatte sull’utente, alle interviste dirette, alle informazioni fornite dal cliente, e la propria esperienza personale.

Tali dati, che ricercano una conoscenza profonda di persone, comportamenti, contesti e storie, in etnografia vengono definiti Thick Data, ovvero dati spessi che descrivono le storie delle persone e che non possono essere quantificati; per i creativi questo tipo di informazioni rappresenta la principale fonte di ispirazione.

Ma cosa succede al processo di design quando a questi dati spessi e densi di significato affianchiamo le possibilità offerte da un altro tipo di dato con caratteristiche opposte, ovvero i Big Data, numerici, freddi e potenzialmente in grado di restituire una conoscenza panoramica dei comportamenti della società?

Per rispondere a questa domanda, DesAI ha attivato un percorso di ricerca strutturato in tre fasi:

  • Mappatura del panorama concettuale, con l’obiettivo di sintetizzare il modello concettuale di riferimento, mappando e catalogando le caratteristiche di dati spessi e dati grandi, tramite sintesi della letteratura e indagine sulle caratteristiche dei dati usati nelle diverse fasi del processo di design.
  • Raccolta e analisi di casi studio, con l’obiettivo di analizzare l’utilizzo di tipologie miste di dato nel processo di design.
  • Sperimentazione ed osservazione diretta, con l’obiettivo di simulare un processo di design osservando “in laboratorio”, cioè in un contesto controllato, l’utilizzo di dataset misti.

La fase di raccolta e analisi di casi studio ha coinvolto alcune organizzazioni, indagando tre mondi diversi: quello delle Strategic consultants con Assist Digital, Avanade e NTT Data; quello delle Digital agencies con Twig, Fifth Beat e Webranking e quello dei Design studios con Studio Volpi e Oblo Design.

La fase di sperimentazione pratica ha poi coinvolto alcuni professionisti, selezionati sia in base alla loro lunga esperienza professionale, che al loro livello di competenza (da basso ad alto) nell’utilizzo di Big e Thick Data, anche congiuntamente: Fabrizio Pierandrei, Alessandro Confalonieri e Sara Stangalini, Luca Buttafava e Caterina Ramilli, Agata Brilli, Massimo Randone, Raffaele Boiano e Daniel Nouri.

Grazie al coinvolgimento di tutti questi professionisti che si sono prestati ad essere intervistati, a raccontare le proprie pratiche professionali o ad essere osservati durante lo sviluppo di un esercizio progettuale, DesAI si è arricchito di molte prospettive diverse ad ha iniziato a costruire una prima comprensione di come i designer integrino tipologie miste di dati.

L’utilizzo delle panoramiche restituite dai dati grandi e le storie raccontate dai dati spessi fa ancora fatica a convergere nel processo di design. Nella loro tipica ricerca delle ragioni nascoste nei comportamenti delle persone, i designer vanno alla ricerca del lato umano dei dati.

I designer non si accontentano (e non si fidano) di una statistica e non accettano di attribuire ai dati la responsabilità di dettare il destino delle persone (vale a dire, ad esempio, decidere in base ai dati chi viene assunto e licenziato, chi viene ammesso all’università e chi no, a chi viene concesso credito e a chi no, come molti casi di applicazione di algoritmi dimostrano).

Per i designer, per poter essere utili, tutti i dati devono diventare Thick. Posti davanti ad un dataset misto, i creativi iniziano un processo di Thickening seguendo il quale anche i dati e gli algoritmi sono spogliati del loro finto velo di oggettività e vengono plasmati in vulnerabilità e rappresentazioni dense, riorientando così il valore dei dati stessi e delle risposte che questi possono fornire, riportando al centro del discorso sui dati il significato del termine umano.