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Valeria Luisa Bucchetti

Gender / Design

01 settembre 2016 — 7 minuti di lettura

Sono Valeria Bucchetti, a partire dagli anni della mia formazione mi occupo di Design della comunicazione. Dal 1996 insegno al Politecnico, dapprima con l’insegnamento di Disegno Industriale per la Comunicazione Visiva, presso la Facoltà di Architettura, successivamente di Culture Visive per il Design; Progetto della Comunicazione Visiva; Design della Comunicazione e Culture di Genere, presso la Scuola del Design.

Sono Professore Associato presso il Dipartimento di Design, membro del consiglio scientifico del Centro di Ricerca interuniversitario Culture di genere, del Collegio di Dottorato in Design, del comitato di redazione della collana di Design della comunicazione FrancoAngeli), socia AIAP (Associazione Italiana design della comunicazione visiva) dal 1989.

In questi anni di attività ho avuto modo di articolare e sviluppare la mia area di ricerca orientando gli interessi in particolare verso gli ambiti dell’identità visiva e dell’identità di prodotto, dell’identità di genere e degli stereotipi comunicativi, più in generale, dei sistemi di comunicazione visuali, portando sempre il focus sul funzionamento dell’oggetto di comunicazione, sui meccanismi messi in gioco per attivare processi di produzione di senso. Si tratta di un campo di studio che interseca le teorie della raffigurazione con le discipline semiotiche e che arriva a determinare un’area delle culture visive che possiamo riconoscere come fondamento del fare progettuale (premio Compasso d’Oro nel 1995 come co-autore del catalogo multimediale per il Museo Poldi Pezzoli).

Nell’affrontare questo terreno di studio, per un lungo periodo, mi sono occupata di identità dei prodotti contribuendo alla riflessione con numerosi saggi: La messa in scena del prodotto. Packaging identità e consumo (1999), Packaging design (2005), Culture visive. Contributi per il design della comunicazione (2008), Altre figure. Intorno alle figure di argomentazione (2011); per concentrarmi negli ultimi anni sul tema della responsabilità sociale del design della comunicazione.

Questa prospettiva ha orientato fortemente la mia attività di ricerca e didattica portando a compimento progetti come la Carta etica del packaging (2015), assumendo la responsabilità, per il contributo del Dipartimento di Design, del progetto Welfare di tutti (Bando Fondazione Cariplo “Welfare in azione – welfare di comunità e innovazione sociale” - Comune di Milano, 2015-2018) e del progetto Farb 2013 La dimensione di genere nel campo del design (wemi.milano.it), partecipando sino dalle fasi preliminari al progetto del Centro di Ricerca interuniversitario Culture di genere di cui sono co-fondatrice (www.culturedigenere.it), dando impulso, nell’ambito delle Culture di genere, al gruppo di ricerca dcxcg (Design della comunicazione per le culture di genere, www.dcxcg.org ↗).

È su questi temi che vertono le mie pubblicazioni Anticorpi comunicativi. Progettare per la comunicazione di genere (2012) di cui sono co-curatrice e Design e dimensione di genere. Un campo di ricerca e riflessione tra culture del progetto e culture di genere (2015).

Culture di genere e Design della comunicazione: ricerca di base e formazione

Quando parliamo di genere parliamo di un tema eticamente sensibile. Quella di genere è, come è noto, una nozione che molto ha in comune con la gestione del potere; si tratta di un termine che possiede una grande polisemicità che si arricchisce entrando in contatto con i diversi campi.

A partire dalla ricerche di genere in ambito sociologico abbiamo imparato quanto sia opportuno calare questo termine nei diversi ambiti disciplinari.

Ed è quello che come gruppo di ricerca abbiamo fatto “riferendolo” all’area del design della comunicazione.

Molteplici sono gli intrecci emersi, molteplici i piani che vedono strettamente connessi i temi di genere e il design, e il design della comunicazione in particolare. Ed è questa molteplicità che ha imposto un lavoro iniziale di ricognizione per tracciare una mappa dei nodi critici, nodi che hanno rappresentato delle vere e proprie priorità di ricerca.

In primo piano la nozione di stereotipo, in particolare quando entra in stretta connessione con il termine disparità (così come emerge dall’analisi del global gender gap index).

Il tema dello stereotipo riguarda, in modo significativo, la rappresentazione della donna nei media e dunque negli artefatti comunicativi. Al centro di quest’area di studio l’uso sessista della figura femminile per veicolare e promuovere prodotti, servizi, persino ricerche, che non ne giustificano la presenza e che radicalizzano le associazioni tra ambiti, ruoli e generi.

Il tema dello stereotipo è stato investigato, attraverso lo studio di diversi campi: dai prodotti di largo consumo, attraverso l’analisi del packaging e al loro sistema comunicativo, all’ambito dei prodotti per l’infanzia, in particolare ponendo al centro dello studio i giocattoli, i loro codici espressivi e i supporti di comunicazione per la promozione, coì come il campo editoriale, rivolto ad adulti e bambini che ancora troppo frequentemente si presenta come un coacervo di stereotipi. È proprio la messa in discorso dei prodotti che rischia di divenire una pratica acritica, basata su un processo traduttivo di attributi femminili e maschili, fatto di figure che si stratificano nel tempo, di forme espressive e configurazioni visuali stereotipiche.

Communication Design, Gender Studies, Translation Studies

Si tratta pertanto di riconoscere nell’intersezione tra Communication Design, Gender Studies e Translation Studies un ambito di riflessione di grande rilevanza che vede il design farsi carico degli artefatti comunicativi e dei loro linguaggi nella dimensione prassica e in quella teorica.

Tra le numerose questioni che possiamo ricondurre a questo terreno di studio il comportamento semantico degli artefatti costituisce un tema prioritario che riguarda le declinazioni (nelle versioni maschili e femminili), ottenute attraverso l’assunzione e la condivisione di repertori segnici; è su di esse che si basa la costruzione dell’identità degli oggetti, si determina la loro “qualità” comunicativa, si diffondono le manifestazioni stereotipiche. È attraverso gli artefatti comunicativi che si veicolano modelli e ruoli sociali.

Lo studio sugli stereotipi coinvolge categorie espressive che ci servono per parlare o per riferirci al femminile o al maschile e che portano il progettista ad appoggiarsi a marche semantiche riferite al genere. A convenzioni che costruiscono un legame stabile (cristallizzato) tra l’elemento formale e il genere al quale si intende far riferimento.

Riguarda forme, materiali, sistemi di icone, fortemente stereotipizzati che sono alla base della progettazione dei prodotti.

Un tema che occupa, dal punto di visto teorico, un posto centrale anche all’interno delle ricerche sulla traduzione di genere, che studiano i meccanismi che traspongono per esempio un artefatto da una versione femminile a una maschile e viceversa e che, sul versante pragmatico, è invece alla base del cosiddetto gendered marketing.

Il centro di ricerca interuniversitario Culture di Genere

Il lavoro che il gruppo di ricerca dcxcg sta facendo, deve essere letto in connessione proprio con l’attività del Centro di ricerche interuniversitario culture di genere.

Il progetto del centro ha preso avvio 5 anni orsono a seguito delle attività congiunte delle università Statale di Milano e Bicocca e grazie all’energia messa in campo dalla società civile da Donne in Quota e amiche di ABCD che intessettero le prime mosse per costruire una rete tra gli atenei milanesi, dapprima condividendo dei programmi seminariali tra le università – iniziativa che vide il ns coinvolgimento attraverso il seminario Anticorpi comunicativi organizzato presso il campus Bovisa nel 2012 – , e poi attraverso il progetto che ha visto la propria formalizzazione con il centro, che oggi è alla fine del suo primo triennio.

Il Centro di Ricerca Interuniversitario ‘Culture di Genere’ – che vede coinvolti Università degli Studi di Milano Bicocca, Università degli Studi di Milano, la Bocconi, IULM, Università Vita -Salute San Raffaele, Politecnico di Milano –, assume nelle premesse del suo Statuto l’intenzione delle Università convenzionate di dare impulso, con gli strumenti di loro competenza, a studi, ricerche e azioni positive attinenti al tema delle culture di genere, nello spirito della Risoluzione europea (3 settembre 2008 sull'impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini ) , 8 marzo 2011 sulla parità tra donne e uomini, della Direttiva europea 113 del 2004 e della Cedaw (Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne) adottata dall’Onu e ratificata da 185 Stati.

La presenza del centro ha rappresentato un punto di forza per lo sviluppo delle attività del nostro gruppo all’interno dei Dipartimento di Design che devono essere quindi lette nella proprie specificità, ma anche in relazione a questo disegno più vasto.

I molteplici contributi del Design della Comunicazione

  • Un primo livello è orientato a rafforzare la cultura critica dell’universo segnico e simbolico.

    Nel percorso formativo del designer il design della comunicazione può essere determinante per la generazione o il rafforzamento degli anticorpi. Ossia si può far carico della costruzione di strumenti che rendano i giovani designer più autonomi nella capacità di vedere, di decostruire l’universo dei segni, per accrescere la loro sensibilità e quindi incrementare la loro consapevolezza e sostenere la loro responsabilità di progettisti. (Questi sono gli obiettivi del corso Design della comunicazione e culture di genere proposto nelle Lauree Magistrali)

  • Un secondo livello è connesso alla progettazione di strumenti per la formazione di formatori.

    Il designer della comunicazione può dare il proprio contributo attraverso la progettazione di strumenti dedicati, per sviluppare azioni di sensibilizzazione in altri contesti formativi. (È quanto è stato sviluppato attraverso la sperimentazione coordinata dalla dott. Elena Caratti del W-Re.Media tool-kit tra gli studenti delle scuole secondarie)

  • Un terzo livello riguarda invece la progettazione di azioni, di campagne di comunicazione, lo sviluppo di artefatti comunicativi che possano essere veicolo di azioni di contrasto e campagne di sensibilizzazione (workshop didattici sono stati un importate spazio di verifica)

  • In ultima istanza, possiamo affermare che il Design della comunicazione abbia una vocazione strategica, poiché può esprimere il proprio contributo, assumendo il ruolo di facilitatore con le altre aree politecniche nella costruzione del dialogo su questi temi, evidenziando il potenziale innovativo che l’inclusione di queste tematiche può portare alla cultura del progetto.

Formazione e disparità

Un ulteriore punto di attenzione, in una prospettiva di parità di genere, riguarda i percorsi formativi.

Non mi riferisco al quadro complessivo universitario e a quello dell’ateneo che ne rispecchia gli andamenti, ossia alle disparità ancora presenti tra aree più spiccatamente tecnologico- scientifiche (che vedono una predominanza maschile) ed altre umanistiche (viceversa, con una maggiore presenza femminile), ma a differenze che anche nel campo del design vedono settori come il design engineering o l’interaction design di interesse più marcatamente maschile e una evidenza femminile in aree come il design degli interni o, per quanto riguarda il campo del design della comunicazione, nell’illustrazione o nell’editoria. Differenze che quando si va a osservare il quadro professionale permettono di leggere alcuni squilibri ancora evidenti.