In memoria di Giorgio Armani

L'eredità del Maestro celebrata dal Politecnico di Milano

Il Dipartimento e la Scuola del Design del Politecnico di Milano ricordano Giorgio Armani celebrandone la figura e il legame speciale con il nostro Ateneo.

Nel 2007 fu conferita a Giorgio Armani la Laurea ad Honorem in Design, riconoscendo nella sua carriera una testimonianza esemplare del valore del progetto applicato alla moda. Armani seppe trasformare la figura dello stilista in quella di un vero e proprio designer-imprenditore, capace di coniugare creatività, rigore progettuale, rapporto con l’industria e attenzione verso le persone.

La sua opera ha rappresentato un modello di design italiano che unisce estetica, innovazione e qualità, contribuendo a ridefinire la cultura del progetto contemporaneo. Il conferimento della Laurea ad Honorem fu allora il modo per sancire l’importanza del suo approccio “dal mestiere al progetto”: un insegnamento che resta oggi vivo e attuale per le nuove generazioni di designer.

Il Politecnico di Milano, con commozione, si unisce al cordoglio internazionale ricordando Giorgio Armani come Maestro e guida per il design inteso come strumento ed espressione di cultura, società ed economia. Un interprete straordinario di quella cultura politecnica del progetto che sa unire creatività, impresa e innovazione, generando valore per la comunità e per il sistema economico.

Per celebrarne l’attività e il legame con l’Ateneo, pubblichiamo la Laudatio pronunciata dalla Professoressa Paola Bertola in occasione del conferimento della Laurea ad Honorem in Design: un testo che restituisce la profondità del rapporto di Armani con l’impresa, la città, il progetto e che ne illustra le motivazioni del riconoscimento accademico.

Giorgio Armani: la moda dallo stile al progetto

Magnifico Rettore, illustrissimi Presidi, egregi colleghi, cari studenti, gentile pubblico,

sono naturalmente molto onorata di avere la possibilità di pronunciare la laudatio in occasione del conferimento della Laurea ad Honorem in Design a Giorgio Armani, seppure mi è difficile sentirmi all’altezza di questo compito.

Cercherò di farlo con l’umiltà di chi può solo guardare alla figura di Giorgio Armani come a quella di un maestro e forse con l’ingenuità, ma spero anche la freschezza, di chi può ripercorrerne l’esperienza a posteriori, senza aver assistito in prima persona a gran parte dei momenti più significativi della sua storia.

Giorgio Armani nell’immaginario più comune corrisponde alla figura ormai mitologica dello “stilista”, il geniale creatore che estraneo a vincoli e regole può liberamente esprimere la propria arte. Viene anche abitualmente dipinto, da chi lo conosce, come unico artefice delle decisioni e quindi della forma degli abiti, degli oggetti, della comunicazione, insomma di tutto ciò che la sua azienda produce, cosa che contribuisce a rafforzare il mito dell’ “onnipotenza” creativa.

Giorgio Armani è invece, e il conferimento di questa Laurea gliene rende merito, una delle figure che più efficacemente e più profondamente hanno contribuito a sgretolare proprio quel modo di fare “stilismo” che corrisponde a questo stereotipo. Grazie a lui, alla sua capacità non solo di progettare, ma di organizzare il progetto, di farlo crescere, di metterlo in relazione con il contesto, si sono creati quegli spazi necessari allo sviluppo di una nuova cultura progettuale nel campo della moda, che può essere il terreno fertile per la crescita delle nuove generazioni di designer. Un “modo” di fare progetto molto italiano e assai comune a molti grandi maestri del design, nel campo della moda come in altri settori. L’oggetto di questa Laurea non riguarda quindi tanto la capacità di Giorgio Armani di creare bellissimi abiti, ma il “come” lo ha fatto sino ad ora, poiché ritengo che da questo “come” discenda in gran parte la qualità di ciò che ha creato negli anni.

Del resto, come scuola di progettazione, non possiamo soltanto rendere merito al talento creativo, poiché purtroppo questo non può essere insegnato, quanto al “mestiere”, a quel saper fare e saper essere che possono trasformare quel talento creativo in vero valore per la cultura, la società, l’economia.

Cercherò quindi di raccontare il “come” Giorgio Armani è un designer e di spiegare le motivazioni per le quali, per chi come me insegna questa disciplina e per i giovani che si formano in questa scuola, egli rappresenti una figura di riferimento importante ed un esempio cui ispirare le proprie scelte e la propria crescita professionale, al di là di questioni di “mode” e di “stile”.

GIORGIO ARMANI E L'OGGETTO DELLA PROGETTAZIONE

«[…] se non vogliamo soltanto vendere i “gioielli” del prêt–à-porter italiano, dobbiamo impegnarci a produrre per l’industria e per il pubblico abiti ragionevolmente portabili. […] Altrimenti rischiamo di trovarci nelle condizione di un designer che crea posacenere che non possono contenere la cenere. […] La moda e la creatività dello stilista non devono rappresentare […] qualcosa da subire. […] Un bravo stilista deve saper essere un attore poliedrico. Deve saper disegnare tutto per tutti […].»

Queste parole, pronunciate in un’intervista nel maggio del 1982, sintetizzano in modo molto efficace il rapporto di Giorgio Armani con l’oggetto della sua progettazione. Un rapporto mai egocentrico, ma costantemente mediato dall’attenzione verso il cliente, l’utilizzatore finale, chi indosserà un capo o un accessorio.

Questa attenzione è sicuramente alla base della profonda innovazione “tipologica” che Armani propone rispetto agli archetipi del guardaroba maschile e femminile, a partire dalla giacca, cogliendo necessità e stili di vita emergenti e proponendo capi in grado di liberare chi li indossa da facili definizioni di ruolo e di genere. Ed è anche alla base della sua concezione della forma e del linguaggio elaborato negli anni, seppure con le naturali evoluzioni e trasformazioni, che tende naturalmente alla semplificazione e alla ricerca sul dettaglio, sui materiali, sulle costruzioni dei capi.

Durante gli anni novanta, nell’esplosione generalizzata dello “stile” minimalista Armani afferma:

«Il minimalismo fa parte della mia natura […] ed è stato sin dall’inizio la bandiera del mio stile, denso di contenuti e privo di inutili supporti. L’equivoco in cui troppo spesso si cade nel parlare di concezione minimalista della moda è lo scambiare la semplicità con la banalità. Credere che una gonnellina e una maglia dall’aspetto povero siano un messaggio etico all’interno della ricerca estetica. Mentre spesso sono soltanto il parto del minimalismo inteso come trend […] come ecologia della forma anziché della sostanza e dunque della mente.»

Da queste parole emerge un rapporto con l’oggetto che tende appunto alla semplificazione, alla sottrazione, come la definisce Bruno Munari negli stessi anni in Verbale Scritto, e che sottintende la volontà di creare prodotti concepiti per rispondere a contesti d’uso e stili di vita precisi, con l’obiettivo, più volte affermato, di aiutare chi li indossa a vivere meglio. Da questa particolare attenzione e sensibilità verso i propri clienti nasce anche nel tempo la capacità di Armani di differenziare il prodotto per funzioni d’uso, linguaggi e fasce di prezzo, creando numerose linee, e nuovi marchi. Riesce cioè efficacemente a tradurre in prodotti quella tensione all’ “essere capaci di disegnare tutto per tutti” che ritroviamo nelle sue stesse parole.

GIORGIO ARMANI E L'INDUSTRIA

All’inizio degli anni ottanta, già all’apice del successo, Armani rinuncia per un periodo a presentare le proprie collezioni in Fiera insieme agli altri stilisti e così spiega la propria scelta:

«La mia decisione non è certo motivata da un capriccio o da un coup de théatre. Proprio in questi ultimi anni le nostre vie si sono divise per motivi di scelte tutte rispettabilissime, ma comunque assai diverse. Alcuni di noi hanno preferito mantenere un altissimo livello e una dimensione artigianale, altri stanno crescendo sulla via dell’organizzazione industriale; io ho scelto come professione di fare il disegnatore a supporto della grande industria […]»

Giorgio Armani non descrive mai il proprio lavoro come espressione isolata del proprio genio creativo, ma piuttosto come costante ricerca di quel delicato equilibrio tra creatività, ricerca tecnica, fattibilità, funzioni d’uso che è tipico di chi progetta per l’industria e quindi per un mercato. Sempre rigetta la definizione di artista, riconoscendo nella propria attività non la condizione di straniamento tipica del fare arte, ma di concentrazione, disciplina, metodo di chi svolge un lavoro.

Queste affermazioni avvicinano la figura di Armani a quella di tanti maestri del design che hanno saputo costruire nel rapporto con l’industria e la produzione, una capacità innovativa e propulsiva del sistema italiano.

Questo rapporto parte dal Gruppo Finanziario Tessile. Con GFT e poi con molte altre realtà industriali italiane con alcune delle quali il gruppo Armani tuttora lavora, si instaura una relazione dialettica nella quale il progettista non demanda mai le decisioni tecniche all’azienda, nella misura in cui queste investono poi le qualità del prodotto. E stato raccontato più volte come la prima collezione che GFT produsse su progetto di Armani ebbe un enorme successo, ma dovettero ritirarne in 3 settimane circa il 70% perché i capi “non stavano insieme”: le soluzioni tecnologiche trovate non erano adeguate a dare risposta alla progettualità di Armani.

Questo aneddoto mostra una dinamica tipica in moltissime imprese italiane di successo, in tutti i settori del cosiddetto made in Italy, nelle quali il design è stato motore di innovazione tecnologica, investendo processi produttivi, lavorazioni, materiali.

Quel che è ammirevole è la costante capacità di Armani di mantenere vivo e fecondo questo rapporto con l’industria, tanto che non mancano, anche in tempi più recenti, innovazioni introdotte proprio a partire dalla sua tensione progettuale, non solo in ambito tessile ma anche nei settori successivamente coinvolti nelle produzioni Armani, come la cosmetica o l’arredo.

Il costante successo dei prodotti Armani testimonia anche del felice connubio tra le dimensioni creativa e tecnica con quella organizzativa e manageriale, che si concretizza inizialmente nella collaborazione con Sergio Galeotti e che trova dimora, dopo la sua scomparsa, nella figura di Armani stesso, designer e imprenditore al contempo. Afferma infatti:

«[…] Vivo una sorta di sdoppiamento, prima sono il creativo e poi mi immedesimo nell’altra parte, quella dell’imprenditore […] e mi contraddico nel senso che quello che ho amato fino al giorno prima come stilista, il giorno dopo, dati alla mano, non devo amarlo più.»

Un binomio del tutto peculiare al modello italiano, nel quale le scelte progettuali non sono mai subordinate alle scelte imprenditoriali, semmai le due dimensioni convivono in un rapporto dialettico e fecondo. E’ questa imprenditorialità creativa che porta Armani alla continua ricerca del nuovo: dalle formule più evolute di distribuzione, comunicazione e valorizzazione del prodotto, come testimoniano l’apertura dell’Armani Teatro e dello spazio polifunzionale di via Manzoni 31, allo sviluppo tra i primi dello shopping on-line, negli Stati Uniti e poi in Europa.

GIORGIO ARMANI E IL PROGETTO

Walter Gropius diede del progetto una delle definizioni che più hanno segnato la concezione della disciplina, paragonando la progettazione all’attività di regia, definizione che oggi, di fronte alla crescente complessità del reale sembra più che mai attuale. A questa definizione vorrei ricorrere per spiegare un altro aspetto della figura di Giorgio Armani che riguarda la sua capacità di continua crescita e rinnovamento che lo porta ad essere da stilista consulente di imprese, a designer imprenditore, a regista di un complesso sistema progettante.

Di fronte alla crescente complessità della cultura, della società, dei mercati, Armani intraprende quel percorso evolutivo di progressiva articolazione delle proprie attività e della propria professione il cui esito sono nuovi spazi e nuove possibili dimensioni per chi oggi si affaccia al mondo della progettazione.

Ancora una volta distante dallo stereotipo dello stilista isolato nella propria tensione creativa, sa articolare e organizzare un gruppo di progettazione capace di operare in modo sinergico su una gamma di prodotti e servizi sempre più estesa, mantenendo per sé il ruolo di attento e rigoroso regista.

Osservando oggi la molteplicità dei prodotti e dei servizi che fanno capo ad Armani non si può non riscontrarne la capacità di cogliere e valorizzare le potenzialità insite nel concetto di made in Italy, nell’accezione più positiva che può avere questa definizione. Armani ha infatti sempre guidato la sua azienda ponendo la passione per il prodotto come valore cardine delle scelte strategiche operate, a partire dall’acquisizione, in tempi di delocalizzazione, delle imprese italiane produttrici delle sue linee, per poter garantire maggiore controllo sulla qualità dei prodotti. O come dimostra la collaborazione con le migliori risorse del nostro territorio, in tutti settori oggi coperti dai prodotti Armani: dalle aziende della Brianza nel campo del mobile e della casa, ai gruppi più importanti del distretto del Cadore nel settore dell’occhialeria. O ancora la strategia di sviluppo della distribuzione, attuata con straordinario anticipo, che porta oggi il gruppo Armani a contare oltre 300 punti vendita in 37 Paesi nel mondo, ciascuno dei quali attentamente concepito per esprimere gli stessi valori progettuali dei prodotti proposti.

In nessun caso l’attività di progettazione delle diverse linee è stata demandata ai produttori, ma sempre controllata direttamente e, con l’apertura a nuovi settori, ha fatto crescere feconde collaborazioni con importanti progettisti, designer, architetti, in coerenza con quell’idea di “progetto come regia” di cui si è parlato.

Credo che questo percorso evolutivo possa essere considerato compiutamente l’espressione di una visione strategica guidata dalla tensione progettuale, dalla volontà di estendere una certa concezione del design oltre l’abito.

GIORGIO ARMANI E MILANO

Giorgio Armani nasce a Piacenza, che per singolare e non volontaria coincidenza è anche la mia città natale, ma trova a Milano il terreno fertile dove crescere professionalmente e dove sviluppare il suo progetto. E’ una città che nelle sue parole è sempre raccontata con gratitudine, con quel miscuglio di amore e odio che i milanesi d’adozione sanno coniugare quando ne parlano, appunto, amorevolmente male. E’ la Milano degli anni ’70 e Armani comincia la sua attività in un luogo che per molti designer italiani ha rappresentato una tappa importante del proprio percorso professionale, la Rinascente. E’ una città che a quei tempi in modo particolare è teatro di un fermento culturale e di una capacità di produrre idee e qualità che difficilmente si riscontra altrove e il cui ricordo nelle sue parole e in quelle di molti altri protagonisti di quel periodo produce in me e nella mia generazione un misto di invidia e nostalgia per non aver potuto esserci.

Questa laurea, tuttavia, non è un riconoscimento nostalgico ad una figura del passato, ma a un progettista di oggi, al suo costante impegno a cambiare insieme alla realtà che cambia, ad aprire nuove opportunità per chi oggi fa un mestiere che non può più essere quello che lui fece un tempo. Ed è anche un riconoscimento alla voglia che traspare spesso dal suo operato, di “ri-regalarci” Milano senza inutili nostalgie, non come era allora ma nuova, come in parte già è ma dovrebbe diventare sempre di più, adatta a far crescere non un piccolo gruppo di intellettuali illuminati e progettisti, ma una grande, trasversale, tribù progettante, per citare una definizione di un altro dei miei maestri, Andrea Branzi, che siede qua con noi.

Oggi in Triennale sono aperte due mostre: una è una importante retrospettiva sul lavoro di Giorgio Armani nel campo della moda, l’altra è un mostra curata, appunto, da Andrea Branzi che si intitola “New Italian Design”. Ritengo si tratti di una felice coincidenza.

In verità quando mi è stato proposto di pronunciare la laudatio di conferimento di questa Laurea, ho pensato che fosse un modo per rendere ancora più esplicita la volontà di farne non una celebrazione del passato ma un importante segnale per il futuro.

Mi è anche venuta in mente l’immagine di quella bambina voluta da Gabriele Vacis a cantare l’inno nazionale, da sola in mezzo allo stadio, durante la cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi Invernali. Non credo naturalmente che l’effetto di me su questo palco possa essere altrettanto poetico, ma forse può avere un po’ di quella stessa forza: suscitare un’idea di nuovo, trasmettere un messaggio di positiva fiducia nel futuro, per la mia generazione ma soprattutto per l’università degli studenti che ugualmente rappresento.

Giorgio Armani, Laurea ad Honorem, 2007. Foto scattata dal Lab Immagine - Dipartimento di Design.

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