ReverseLab approda al PAC
Spazio pilota per l’arte contemporanea tra il carcere e la città

Dal 14 al 26 ottobre 2025, il PAC - Padiglione d'Arte Contemporanea ha ospitato ReverseLab. Spazio pilota per l’arte contemporanea tra il carcere e la città, un progetto nato dalla sinergia tra Carcere di San Vittore, Politecnico di Milano e PAC, con il contributo di Fondazione di Comunità Milano e in collaborazione con Forme Tentative e Philo – Pratiche filosofiche.

Il progetto
Il progetto ReverseLab, promosso dal gruppo di ricerca “Laboratorio Carcere” del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani e del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano, ha attivato uno spazio per la produzione e l’esposizione artistica – aperto al pubblico – attraverso il riuso del reparto seminterrato del primo raggio della Casa circondariale di San Vittore. ReverseLab si configura come un laboratorio di design sociale: non solo progettazione di ambienti, ma attivazione di relazioni, produzione culturale, riflessione sull’abitare e sul simbolico, e sul rapporto complesso tra istituzione penitenziaria e contesto urbano. Da marzo a novembre 2024, 40 persone detenute, insieme all’artista Maurice Pefura, hanno partecipato ad un percorso collettivo di riflessione e creazione. Il risultato è un luogo trasformato e un racconto che ora si apre alla città, restituendo al pubblico le domande nate dentro le mura del carcere.

La proposta di ReverseLab all’interno di San Vittore nasce con l’obiettivo di rafforzare gli scambi e le progettualità tra la realtà carceraria e la società esterna — un’intenzione che trova pieno compimento con l’approdo del laboratorio al PAC, spazio aperto e accessibile a tutti.
«ReverseLab è un progetto pilota per restituire spazio a chi spazio non ne ha; per mettere in relazione il carcere e la città, attraverso l’arte; è un percorso artistico che permette di aprire i confini, del corpo e delle mura, e di fare luce sulle nostre ombre, come individui e come società. È parte del lavoro che, come ricercatrici, ricercatori e studenti attivi in Off Campus San Vittore, portiamo avanti intrecciando esperienze, saperi e prospettive diverse - quelle di persone detenute, agenti di polizia, educatori ed educatrici, personale sanitario, la direzione del carcere, altre istituzioni e il terzo settore, con la volontà di cambiare la narrazione del carcere, di pensarlo come parte di una città molteplice, un luogo in cui dalle relazioni possono nascere nuove possibilità.»
Francesca Piredda, Professore Associato membro del gruppo interdipartimentale Laboratorio Carcere (Design e DAStU)

Un frammento di San Vittore nel centro di Milano
Nella Galleria e nella Project Room del PAC ha preso forma un frammento inatteso del carcere di San Vittore: uno spazio sospeso tra tempo e memoria che racconta la complessità del progetto.
La Project Room documenta il lavoro di recupero e trasformazione curato da Forme Tentative e il processo del workshop condotto da Pefura, mentre la Galleria ha ospitato una versione ridotta dell’opera realizzata all’interno del carcere “Gli artisti sono quelli che fanno casino”, completata da registrazioni audio nelle quali le persone detenute raccontano la loro quotidianità e la loro relazione con l’esterno, circondando l’ambiente di voci e suoni del carcere.
«La mostra al PAC è stata una nuova occasione di incontro fra carcere e città, per continuare ad aprire domande sulle nostre fragilità, per dare posto al desiderio di non restare irrilevanti di fronte alla complessità del presente, per “non spegnere la luce”.»
Francesca Piredda, Professore Associato membro del gruppo interdipartimentale Laboratorio Carcere (Design e DAStU)


Questo passaggio — dall’interno della Casa circondariale al contesto cittadino — assume un forte valore simbolico: l’opera “esce” da San Vittore e porta con sé domande che investono la città. Domande sul senso del carcere, sul suo stare “dentro il corpo della città e fuori dal tempo”, sull’utilità dell’arte nei luoghi di detenzione e sulle possibilità della ricerca progettuale in contesti di reclusione. In questo snodo, lo spazio del carcere non viene cancellato: resta come luogo di memoria e di attesa, silenzioso e carico di oltre 120 anni di storia, ma al tempo stesso si trasforma in risorsa sociale, luogo aperto al dialogo e ricucito alla città. Ciò che si muove è la rete di relazioni costruita nel tempo: un intreccio di voci, esperienze e domande che continua a crescere, aprendo nuove possibilità di riflessione e trasformazione.
Per il Dipartimento di Design, questa esperienza costituisce un modello significativo di ricerca che esce dall’accademia e si confronta con contesti urbani e istituzionali complessi, dimostrando come il design possa trasformare spazi marginali in piattaforme di relazione e trasformazione.


Photo credits: Luca Tantimonaco.